Claude Piron

Comunicazione globale e tradizioni locali

Intervista a C.Piron


L’associazione nazionale con sede a Chieti Allarme Lingua si dedica da anni ai problemi della comunicazione e alla conservazione delle tradizioni linguistiche locali. Il suo presidente, il teatino Giorgio Bronzetti, da anni studia i vari aspetti dei problemi legati alla conservazione delle tradizioni locali. Il contributo che ospitiamo in quest’occasione, inconsueto per il nostro giornale ma di sicuro interesse, è un’intervista che lo stesso Bronzetti ha realizzato con il professor Claude Piron, interlin-guista svizzero collaboratore di Allarme Lingua.


Secondo molti politici l’Europa potrebbe funzionare benissimo con più lingue come la Svizzera. Signor Piron, lei che è svizzero ed esperto di comunicazione come reagisce a tale asserzione ?


Si sbagliano. Gli svizzeri sono riusciti a crearsi una bellissima immagine del loro Paese. E’ vero che in Svizzera, a differenza che in Belgio, ci sono raramente grossi conflitti per questioni di lingua ma il quadro è meno idilliaco di quanto si crede. Parlare di quattro lingue è ingannevole. E’ vero che ufficialmente la Svizzera ne usa quattro ma una, il romancio, non svolge alcun ruolo nei rapporti tra i cittadini svizzeri.


Il romancio è parlato da una ristretta minoranza che vive nei Grigioni, circondati perloppiù da zone germanofone. Circa venti anni fa, per unificare i suoi varianti e rendere più resistente la lingua, si è creato il “rumantsch grischun”, un’operazione simile a quella del Landsmal di Aasen ma ciononostante il romancio si va estinguendo, a quanto sembra.


Generalmente una lingua non sopravvive a lungo quando cessano di esistere le persone che l’avevano come unica lingua e questa è la situazione attuale del romancio. Tutti i membri della minoranza sono almeno bilingui.


Quindi, il romancio non ha molta importanza. Restano comunque tre lingue in buona armonia.


Apparentemente sì. Però il peso economico della parte tedesca è enormemente maggiore di quello delle altre due. Nelle regioni di lingua francese e di lingua italiana vi è una maggiore disoccupazione. Gli investimenti in Svizzera vanno alla parte tedesca. E si creano molti problemi psicologici.


A quali problemi si riferisce?


Dipende dal posto. Nelle regioni di lingua italiana impera spesso il tedesco. Mi è successo più volte a Locarno che i camerieri si sono rivolti a me in tedesco e non in italiano, senza pensare che potesse non essermi gradito di esser preso per uno di lingua tedesca. I problemi psicologici in certe regioni sono collegati alla sensazione di essere invasi, di non sentirsi più a casa nella propria terra e quindi al senso di identità. Conosco molte persone nei cantoni di lingua francese o tedesca che vivono costantemente con un complesso di inferiorità per esser venuti da cantoni di lingua diversa, trasferiti, spesso, per lavoro. Nei contatti con la gente uno dei coniugi non si sente mai a casa, mai all’altezza dei vicini, dei negozianti, delle persone che si incontrano. Parlare il francese senza errori è molto difficile per uno svizzero di lingua tedesca che avrà quindi sempre la sensazione di parlare male. I suoi rapporti con la gente non saranno mai soddisfacenti.


Perché dice “uno dei coniugi”?


Spesso uno dei due è più portato per le lingue e si adatta rapidamente. Che lo siano tutt’e due ha statisticamente la metà delle probabilità


Comunque, dal punto di vista amministrativo, economico e politico la Svizzera è un Paese che funziona nonostante la diversità linguistica. Si può prendere a modello la Svizzera per l’Europa di domani ?


Assolutamente no. La Svizzera è in pratica un Paese trilingue. E le tre lingue sono tutt’e tre di prestigio, diciamo. In Europa abbiamo finora venti lingue e tra queste ci sono lingue che, benché bellissime e ricche, come il lituano, l’estone, l’ungherese, lo sloveno, non godono di alcun prestigio, non sono conosciute all’estero. Una situazione quindi del tutto diversa. Con venti lingue, i costi per l’Europa non saranno a lungo sostenibili.


Negli organismi europei si usa sempre più soltanto l’inglese. Usare solo l’inglese non risolverebbe il problema in modo per tutti soddisfacente?


Niente affatto. La cosa concederebbe agli anglofoni un privilegio ingiustificabile. Lei sa che più di 700.000 studenti di lingue dell’Ue seguono ogni anno un corso d’inglese in Inghilterra? L’Inghilterra trae un immenso vantaggio dalla fortuna di poter insegnare la sua lingua a tanti stranieri. “English language teaching is very big business” (l’insegnamento dell’inglese è un grossissimo affare) era scritto una volta apertamente sul bollettino della Fiera di Londra della Lingua Inglese.


Le autorità dell’Ue ripetono in continuazione quanto sia importante studiare altre lingue oltre l’inglese. Il Consiglio di Barcellona ha raccomandato agli Stati Membri di introdurre l’insegnamento di almeno due lingue estere già dai primissimi anni di scuola.


Vi è una terribile contraddizione tra la teoria e la pratica.


La teoria è che bisogna incoraggiare lo studio delle diverse lingue. Anche la lingua romancia della svizzera costituisce ufficialmente una ricchezza culturale assolutamente da salvaguardare. Ma la maggioranza dei linguisti ritengono che questa lingua non sarà più parlata fra due generazioni.. Stessa cosa a livello europeo: i bei discorsi non sono mai seguiti da decisioni effettive. La pratica favorisce l’inglese sotto ogni punto di riferimento. Il novantacinque per cento degli scolari “sceglie” l’inglese. E nessuno fa notare che di cento di essi soltanto uno di media raggiunge un livello che gli consenta di trattare in modo non troppo impari con un anglofono dalla nascita.


Per superare i problemi di lingua non resterebbe, lasciando da parte il latino escluso già nel 600 da Comenio, la soluzione di una lingua non etnica. Una specie di esperanto, in sostanza, adatto alle esigenze dei tempi moderni?


Non una specie di esperanto, ma l’esperanto. Soluzione ben sperimentata da una comunità internazionale, non numerosissima ma estesa, in cui è risultato perfetto e non solo per fare amicizia ma anche per lo scambio di informazioni di ogni genere. Tra chi ha imparato l’esperanto tutte le lingue, culture, identità vengono rispettate, non esistono problemi di comprensione e non è necessario andare a studiare all’estero o investire migliaia di ore per mettere a mente delle assurdità, come per esempio il fatto che in inglese ough si pronuncia in quattro modi diversi –tough, though, through e cough. Con sei mesi un discente medio acquista una capacità di comunicazione pari a quella che avrebbe in inglese solo dopo sei anni, con lo stesso numero di ore settimanali di studio.


Ma non sarebbe del tutto negativo rinunciare all’arricchimento culturale che dà lo studio di altre lingue ?


Ma è proprio quanto succede con il quasi monopolio dell’inglese. Sarebbe sufficiente che si studiasse l’esperanto per un solo anno scolastico per risolvere in pochi anni il problema della comunicazione degli europei . Nello stesso tempo si libererebbero tante ore per studiare altre lingue.


Pensa che la soluzione esperanto sarà mai adottata?


Io credo di sì. E’ facile paragonare obiettivamente la soluzione esperanto con gli altri sistemi. Dal confronto si vede che è il sistema con il massimo di vantaggi per il massimo degli uomini e con il minimo di svantaggi. Il suo rifiuto non si basa mai su un esame comparativo delle diverse opzioni, solo su preclusioni irrazionali.


C.Piron intervistato da G.Bronzetti
Cronaca d’Abruzzo 3/12/06 p.12