Claude Piron

Lettera al prof. Pier Marco Bertinetto


Stimatissimo Signor Professore,


Voglia scusarmi se le scrivo in francese. L'italiano è una lingua di cui mi sono innamorato in gioventù e la rispetto tanto che non oso toccarla, per non rischiare di recar danno alla sua bellezza.


Come Lei sa, il dott. Chiti-Batelli mi ha mandato il Suo Elogio dell'adeguata imperfezione. Già la lettura del titolo ha attratto la mia attenzione, perché ho la mania di annoiare le persone troppo logiche dicendo loro che "l'imperfezione è più perfetta che la perfezione".


Spero che i commenti che mi permetto di presentarLe qui di seguito La interesseranno. Si tratta per lo più di casi in cui c'è un divario tra ciò che Lei dice e la mia esperienza. Il mio modo di vedere le lingue non è affatto lo stesso di quello di un linguista, è quello di un traduttore professionale e di uno psicologo che ha lavorato in Asia e in Africa. È anche quello di una persona immersa fin dall'infanzia nel mondo dell'esperanto. L'esperienza vissuta dell'esperanto è senza dubbio all'origine delle mie due vocazioni: è l'esperanto che mi ha dato il gusto delle lingue, della comunicazione interculturale e dei Paesi esotici; è pure quello che mi ha spinto verso la psicologia, per tentare di trovare una risposta a quello che è per me, fin dall'infanzia, un enigma intrigante: perché c'è nella società una tale resistenza a osservare l'esperanto come esso è utilizzato in pratica, a parlarne obiettivamente e a trarre profitto dai vantaggi che offre, senza alcun inconveniente?


La cosa più semplice è che io citi ogni volta la frase che, a mio avviso, richiama dei commenti. Questi saranno certamente caratterizzati dalla mia soggettività. Quello che ho detto di me stesso qui sopra Le permetterà senza dubbio di individuare quello che può esserci di non centrato nelle mie osservazioni.


1. Ogni lingua naturale (inclusi ovviamente i dialetti) è perfetta, per il semplice fatto che è quanto di meglio l'evoluzione abbia prodotto nel corso di molti millenni.


Questa affermazione non mi convince perché equivale a dire che tutto è perfetto e nega che il mondo sia in corso di evoluzione, sotto certi aspetti nel senso di un perfezionamento, sotto altri nel senso di una decadenza. Le società umane sono il risultato di un'evoluzione millenaria, ma sono per questo perfette? Non lo credo, se si osservano quelle dove la donna adultera è lapidata, o i bambini sono delle cose che si possono vendere, o il denaro ha un ruolo tale che distrugge la giustizia sociale e impedisce lo sviluppo di molti. Per me - è un punto di vista di un traduttore che ha avuto da tradurre documenti di lingue così differenti come l'inglese, lo spagnolo, il russo e il cinese - le lingue sono diseguali: nessuna è perfetta. Alcune permettono meglio di altre una comunicazione efficace o un'espressione dei sentimenti piena di sfumature. Alcune sono più maneggiabili di altre. Traducendo dall'inglese in francese ho avuto molto spesso l'occasione di vedere a qual punto la rigidità del francese era un handicap per far risaltare delle nozioni estremamente semplici che invece l'inglese esprime con disinvoltura. Si ha d'altra parte la stessa impressione quando si traduce in francese a partire dall'esperanto. Il francese è quindi meno «democratico». Il semplice fatto che nei documenti ufficiali si traduca guidelines con instructions tradisce una diversa gradazione del rispetto verso l'autorità che deriva da una mancanza, da una inadeguatezza del francese. Non lo si può dire perfetto. Lei dice che le lingue: «sono tutte, per definizione, perfettamente appropriate alla funzione cui sono destinate». Io credo che si debba diffidare dei per definizione che rischiano di non tener conto dell'esperienza e quindi di essere degli a priori. Quella frase sarebbe, secondo me, più vicina alla verità, se non contenesse la parola >perfettamente. Le lingue sono adattate alla loro funzione, ma non al 100%. È proprio nella percentuale d'imperfezione che risiedono le loro differenze, che, complessivamente, rappresentano una ricchezza incomparabile.


2. Le lingue dei popoli dediti a una vita che si svolge a stretto contatto con la natura [... ] non hanno necessariamente maturato strumenti lessicali e sintattici atti a sdipanare le più sottili disquisizioni metafisiche. [... ] Nulla avrebbe impedito che ciò accadesse.


Non c'è qui, come nella frase citata più sopra, una confusione tra "potenziale" e "attuale"? Nulla avrebbe impedito (potenzialmente), "se solo si fossero create le condizioni", che l'inglese evitasse le numerosissime ambiguità che lo caratterizzano (ci ritornerò più oltre), ma il fatto è che le condizioni umane nelle quali la lingua si è evoluta l'hanno condotta allo stato attuale, che è imperfetto, come mostra il confronto con altre lingue che non presentano tale handicap. Questo è vero per tutte le lingue. Dire che sono tutte potenzialmente perfette (compreso il topinambà) non significa che sono perfette nella loro realtà presente. Ora, nel leggerLa, questo è quello che il lettore comprende, anche se in effetti non è esattamente ciò che Lei pensa.


3. A proposito delle lingue internazionali ausiliarie, Lei dice che «Questi idiomi sono generalmente detti "artificiali". L'etichetta è [... ] appropriata, perché sono distillati a tavolino [... ]; tendenziosa perché [... ] inglobano le caratteristiche costitutive di qualsiasi lingua naturale».


Lei ha pienamente ragione. Ma nel caso particolare dell'esperanto c'è un'altra ragione per dire che l'etichetta è tendenziosa, se si tiene conto del fatto che l'esperanto del 2003 non è più una lingua distillata a tavolino. Si confonde troppo spesso l'esperanto col progetto di Zamenhof. È come dire di un bambino che è il prodotto di suo padre, trascurando completamente il fatto che ha una madre. La "madre" dell'esperanto - la collettività che lo ha utilizzato, che continua a utilizzarlo e, utilizzandolo, lo trasforma - ha svolto un ruolo altrettanto importante quanto quello che ha avuto Zamenhof nella nascita di tale lingua. Ci sono delle intere frasi dell'esperanto odierno che si compongono esclusivamente di parole o di forme che sono sorte spontaneamente, dall'uso, nel corso degli anni e che Zamenhof forse non avrebbe compreso. Si veda il mio articolo "Evolution is proof of life".


4. A proposito degli incidenti aerei: «Già, perché se invece di fraintendersi parlando l'inglese, ci si fraintendesse parlando esperanto, moriremmo tutti più contenti?»


La mia reazione a questa frase è dolermi del fatto che - data per scontata - la Sua premessa, (la Sua convinzione che le lingue sono perfette e quindi uguali per definizione) - Le impedisce di percepire le loro differenze nella loro funzione comunicativa. Sono stato testimone, nel corso della mia carriera, di tanti malintesi dovuti all'inglese e di così pochi malintesi dovuti alla maggior parte delle altre lingue, compreso l'esperanto, che non posso essere d'accordo con Lei su questo punto.


La fonetica dell'inglese è molto meno adatta di quella dell'esperanto (o dell'italiano, o dello swahili o del lakota) all'uso internazionale. Per un Giapponese pronunciare l'inglese in modo da distinguere first da third è estremamente difficile, mentre tutti gli esperantofoni giapponesi che conosco non hanno alcun problema a pronunciare in modo perfettamente comprensibile unua e tria. Le particolarità della pronuncia dell'inglese sono molto curiose. Praticamente tutte le lingue del mondo, persino il cinese, che pure ha una fonetica sui generis, hanno un suono /a/ chiaro, netto, non dittongato. L'inglese standard non ha tale suono (questa singolarità dell'inglese torna nella scrittura: la lettera a, nell'immensa maggioranza delle lingue, corrisponde a questo suono, persino nelle traslitterazioni ufficiali del cinese, del giapponese, dell'ebraico e dell'arabo, mentre la a inglese traduce dei fonemi assai differenti, che vanno da /ei/ fino a /o/). Si possono riassumere come segue gli inconvenienti dell'inglese come lingua di comunicazione internazionale:


- troppi suoni vocalici per molti popoli che hanno nelle loro lingue solamente a, e, i, o, u: mi è spesso capitato di rilevare confusioni con thirteen / thirty, ... nineteen / ninety, quando uno dei parlanti proveniva da una delle regioni, maggioritarie nel mondo, la cui lingua non contiene il suono di quella y finale (e quindi pronuncia /i/) o accentua tutte le sillabe con la medesima forza; ora, una comprensione esatta delle cifre è molto importante quando un pilota ha solamente alcuni secondi per reagire e quando la trasmissione non è limpida (interferenze e disturbi elettrici);


- presenza di certi suoni che i tre quarti dell'umanità non possiedono nella propria lingua madre, come /th/ e che sono fonemi importanti (distinzione tra thick, tick , sick ecc.);


- numerose parole terminano con una sillaba chiusa; in esperanto la quasi totalità delle parole terminano con una vocale, con una s o con una n; l'esperienza prova che questo pone nettamente meno problemi di pronuncia e di comprensione alla maggioranza degli abitanti del nostro pianeta;


- parole molto brevi, simili, con significati multipli (numerosi omonimi): la sillaba rait/ passa in una frazione di secondo; durante questo breve momento il cervello deve passare in rivista una larga gamma di significati possibili, come a) esatto; b) rettilineo; c) diritto ("avere il diritto di");


d) che ha ragione; e) il bene (right and wrong); f) riparare (un torto); g) scrivere; h) rito. Secondo l'accento del parlante o la presenza di rumo ri di fondo, il cervello deve spesso aggiungere alla lista delle possibilità i diversi sensi della parola light: i) luce; j) accendere; k) leggero. Certo, nella pratica, il contesto elimina una buona parte di queste possibilità; nondimeno io ho assistito spesso a dei malintesi dovuti all'associazione d'una grande omonimia, della brevità delle parole e della debole differenziazione fonetica (la difficoltà di distinguere a orecchio anche parole relativamente lunghe come biannual e biennal pronunciate con accenti asiatici non si ritrova affatto nelle altre lingue; non esiste in esperanto, dove duonjara e dujara sono nettamente distinte nella percezione);


- accenti locali. L'inglese di un Australiano che pronuncia today come to die, d'uno Scozzese che crede di dire light e invece dice late, gli accenti indiano, texano o altri causano in effetti delle confusioni che, nell'aviazione, si sono spesso rivelate drammatiche;


- un gran numero di espressioni formate da un verbo e da una o più postposizioni, in una lingua in cui le differenziazioni sono poco marcate: si ha l'impressione che siano sempre gli stessi verbi e le stesse postposizioni, ma i significati sono molto differenti. Si pensi al gran numero di significati di make up, che vanno da "compensazione" a "maquillage" passando per "elaborazione". L'ultima frase d'un pilota il cui aereo è precipitato, registrata nella famosa "scatola nera", fu «Che vuol dire pull up?». «An accident prevention study carried out by Boeing found that, in the decade 1982-1991, pilot-controller miscommunication contributed to at least 11 percent of fatal crashes worlwide» dice David Crystal in English as a Global Language (Cambridge: University Press, 1997, p. 101).


Questa percentuale impressionante è in relazione alle specificità dell'inglese: non solamente alla sua fonetica, ma anche al carattere molto particolare delle frasi inglesi, in cui le relazioni devono essere indovinate, mentre in un'altra lingua sarebbero esplicite. La collisione che, a Tenerife, ha causato la morte di 600 persone, fu dovuta alla mancata comprensione, da parte del pilota, della frase "Clipper 1736 report clear of runway". Sebbene io abbia vissuto negli Stati Uniti e per parecchi anni abbia tradotto dall'inglese otto ore al giorno, non l'avrei capita neanch'io, se avessi pilotato quell'aereo, o almeno non con la certezza che sola garantisce la sicurezza. Forse io non sono abbastanza dotato per l'inglese, ma quali sono le probabilità che un pilota medio lo sia più di me? Una frase in cui la funzione grammaticale delle parole sia così poco chiara è impossibile in esperanto.


5. Quanto a semplicità, l'inglese è difficilmente battibile (p. 8).


È il Suo punto di vista e lo rispetto. Il mio è differente. Ho già fatto allusione al fatto che, per la maggior parte degli uomini, non c'è nulla di semplice a distinguere i suoni vocalici di sucks / sacks, sacks / sex, sex / six, siks / seeks, ecc., né ad assimilare i significati di espressioni come put up with, go in for, get on, hear out, take to, put off, ecc. Ma l'inglese non è semplice sotto molti altri aspetti, come testimoniano gli esempi seguenti:


- La grammatica è vaga: la polisemia dei marcatori grammaticali (-ed, -s, -ing) e di molte parole, congiunta spesso all'assenza di marcatori grammaticali (morfemi), crea molta confusione: by reducing gases, scritto da uno scienziato coreano, significa "per mezzo di gas riducenti" oppure "riducendo i gas"? La patient information volunteer, all'accettazione di un ospedale, è una persona volontaria che dà informazioni sui pazienti oppure una volontaria caratterizzata da una grande pazienza quando dà delle informazioni? SLOW CHILDREN su un pannello in una strada del Massachussets vuol dire "Bambini! Rallentare!" oppure "Prudenza! Bambini handicappati!". Gli esempi sono innumerevoli nella vita di un traduttore. Se li si analizza, si vede che sono tutti dovuti a mancanza di esplicitazione grammaticale.


- Le incoerenze sono correnti. Si dice East Africa, ma Eastern Europe, injustice, ma unjust (confrontate con le altre lingue: in tedesco il prefisso è sempre un-, in russo sempre ne-, in cinese sempre bu-; è più semplice avere da applicare lo stesso morfema in ogni caso). Tuttavia, sebbene l'avverbio si formi a partire dall'aggettivo per aggiunta di -ly, I hardly worked non vuol dire "ho lavorato duramente".


- La derivazione non solamente non è regolare, ma obbliga molto spesso a memorizzare una radice differente: si confrontino le derivazione dent>dentiste (francese), Zahn>Zahnartzt (tedesco), ha>haisha (giapponese), gigi>doktor gigi (malese), ya>yayi (cinese), con l'inglese tooth>dentist. Per me, da questo punto di vista, tutte le altre lingue sono più semplici dell'inglese.


- Si può fare la stessa annotazione a proposito di king / royal, brother / fraternize, see / visual, understand / incomprehensible, ecc. Una lingua come l'esperanto, in cui ogni derivazione è assolutamente coerente, mi sembra molto più semplice, anche se sul piano strettamente morfologico ci sono un po' più di forme da maneggiare. La semplicità non attiene al piccolo numero del morfemi grammaticali, ma alla loro coerenza e al loro rendimento. (Gli Occidentali sono poco coscienti di questo inconveniente dell'inglese perché, per definizione (!), essi conoscono una delle due radici, essendo di lingua madre neolatina o germanica, ma per gli altri popoli il sovrappiù di lavoro richiesto per l'assimilazione della lingua è considerevole). Spesso ci sono due parole per il medesimo concetto (freedom / liberty), ma esse non sono interscambiabili, ci sono delle sottili differenze d'uso praticamente impossibili a padroneggiare per i non nativi.


D'altra parte, cosa vuol dire "semplice"? L'eccessiva semplicità di struttura facilita l'uso attivo della lingua, ma ne complica l'uso passivo, cioè la comprensione. Siccome malaria treatment e malaria therapy hanno la stessa struttura, si potrebbe credere che le due espressioni siano sinonime, dato che therapy si definisce (nel Webster, p. es.) come "treatment". Ora , malaria treatment vuol dire "trattamento della malaria", mentre malaria therapy vuol dire "trattamento di un'altra malattia mediante iniezione del parassita della malaria", "malariaterapia".


Non è semplice, secondo il mio soggettivo punto di vista, comunicare in una lingua in cui English teacher può essere un soggetto britannico che insegna matematica, come pure un docente d'inglese di nazionalità indonesiana. Japanese encephalitis vaccine vuol dire "vaccino prodotto in Giappone contro tutte le forme di encefalite" oppure "vaccino che protegge contro la malattia specifica encefalite giapponese" (l'esperanto con mezzi del tutto semplici evita l'ambiguità: japana encefalit-vakcino, japanencefalita vakcino).


Se questi argomenti La interessano, Le segnalo il mio articolo "Learning from translation mistakes", che è il testo di una relazione che ero stato invitato a presentare in occasione di un congresso di informatici che trattava della traduzione elettronica.


6. Quando Lei dice che le sacche di irregolarità [...] sono ristrette a parole d'alta frequenza, che proprio per la loro grande disponibilità finiscono ben presto per essere automatizzate, Lei descrive senza dubbio la Sua propria esperienza. Lei ha fortuna. La mia è differente. Essendo un giorno stato chiamato a improvvisare un discorso in inglese (lingua in cui ho qualche cosa come 40.000 - 50.000 ore di pratica), mi sono reso conto che non sapevo più qual è il passato di to cost, e ho detto costed, che è sbagliato. Analogamente non mi ricordavo più dove cade l'accento in alternative e in monitoring. Le mie migliaia di ore d'inglese non sono mai riuscite ad automatizzare completamente numerosi elementi della lingua. Due dei verbi più frequenti in tutte le lingue sono "dire" e "fare". Tuttavia l'80% degli stranieri che vivono da anni in ambiente francofono continuano a dire vous disez e vous faisez: le forme corrette vous dites, vous faites non si automatizzano facilmente. In esperanto questo tipo di errore è semplicemente impossibile.


7. Non si dà lingua storicamente costituita che ne sia priva [di irregolarità]


Errore. Ne esiste almeno una: il cinese (credo che il vietnamita possieda la stessa caratteristica). Il cinese non potrebbe possedere delle irregolarità, perché si compone esclusivamente - esattamente come l'esperanto - di elementi (in francese "monèmes", in inglese morphemes) totalmente invariabili, che si combinano all'infinito, senza restrizioni).


8. Mi permetta di contestare anche la tabella a p. 12. Alla riga inglese, la percentuale della popolazione europea che la parla come seconda lingua è indicata come 31%. Dubito fortemente che tale cifra corrisponda alla realtà. Un'inchiesta fatta in parecchi Paesi negli anni 80 aveva dato un risultato molto differente: in Francia, circa il 25% dichiarava di saper bene l'inglese, ma solo il 3% si era rivelato capace di utilizzarlo convenientemente quando si andava a verificarne l'effettiva conoscenza. Un sondaggio di Lintas Worlwide ha dato dei risultati confrontabili (6% nell'Unione Europea). È probabile che la percentuale indicata nella tabella che Lei riproduce non si fondi su una verifica della competenza linguistica ma sulla risposta alla domanda "Quale lingua sapete?" oppure "Sapete l'inglese?". Ora, la maggior parte delle persone non ha alcuna idea del proprio livello di conoscenza delle lingue: trovo che ve ne siano moltissimi che si sopravvalutano, Lei dice con ragione.


9. La pretesa di insufflare la vita in un idioma che non è radicato in alcuna comunità storica [...]


Se si studia l'esperanto tal quale è parlato oggi e come esso si presenta in innumerevoli pubblicazioni, è giocoforza concludere che non c'è alcuna ragione di volervi insufflare la vita. La vita la possiede già in abbondanza. L'esperanto è una lingua vivente, più vivente del francese d'oggi, tanto vivente quanto il francese del tempo di Rabelais. È normale, è una lingua giovane, e ha dunque la forza e la flessibilità della giovinezza, come il francese del 16° secolo. Ce se ne rende rapidamente conto se si studia l'amb iente che lo parla, se si legge la sua letteratura, se si procede all'analisi linguistica di campioni di testi e di registrazioni di conversazioni: in breve, se lo si consideri da linguisti o da antropologi.


10. L'adozione dell'esperanto rischierebbe comunque di restare una specie di corpo estraneo: un'anomala lingua di superstrato, parlata soltanto dalle élites.


Se si ragiona teoricamente, questo argomento regge. Ma è interessante constatare che la collettività che usa l'esperanto e che gli dà vita è formata generalmente da persone semplici. Quando lavoravo in Asia orientale, avevo dei contatti in inglese con le élites e in esperanto con le persone comuni (alle quali i miei colleghi europei o americani non hanno mai avuto accesso). E sono precisamente le élites che hanno sempre storto il naso di fronte all'esperanto, che hanno sparso su di esso ogni sorta di calunnie, che ne hanno bloccato la diffusione. Ora, la comunità esperantofona continua a crescere, certo a un ritmo estremamente lento, ma con una notevole costanza. Non è impossibile che essa raggiunga un giorno una massa critica che faccia pendere l'opinione generale a favore dell'esperanto. Il semplice fatto che la proporzione di articoli a favore dell'esperanto abbia superato quella degli articoli sfavorevoli, che erano ancora maggioranza appena cinque anni fa, potrebbe confermare questa ipotesi. D'altra parte non è impossibile che i movimenti di massa che criticano gli Stati Uniti, come si è visto nel mondo intero prima della guerra in Iraq, siano il segno d'una evoluzione che potrebbe tradursi in una disaffezione per l'inglese come lingua internazionale, negli ambienti non elitari. Il prestigio di una lingua si collega al prestigio di un Paese, e gli Stati Uniti, mi sembra, sono sulla via di perdere il loro prestigio.


11. L'esperanto, in quanto lingua inventata, non può competere sul piano dell'intrinseca "bellezza" con le lingue storicamente costituitesi.(p. 15)


La mia impressione, certamente soggettiva, è del tutto differente. Per me, che parlo l'esperanto dall'infanzia e che ho pubblicato in questa lingua una raccolta di poesie, numerosi racconti e una cassetta di canzoni, l'esperanto non è meno bello di altre lingue che ho appreso. Sotto molti aspetti è più bello. Sono ben cosciente che dire questo è eminentemente soggettivo, ma, personalmente, trovo l'esperanto foneticamente molto più estetico dell'inglese, dell'olandese o del danese, o, in un altro ordine di idee, del cinese. D'altra parte ci sono molte cose che posso dire in esperanto ma che non posso esprimere con la stessa scioltezza e con la stessa soddisfazione estetica nella mia lingua materna, il francese, perché la libertà di combinare i monemi senza alcuna restrizione offre in esperanto una gamma di possibilità che non ha nessun'altra lingua a mia conoscenza (anche in cinese la libertà è meno assoluta). Ho spiegato tutto questo in un articolo pubblicato sotto il titolo «Espéranto - Le point de vue d'un ecrivain» (Le langage et l'homme, 1987, 22, 3, pp. 266-271), difficile da trovare oggi (neanche io ne ho più delle copie), ma disponibile in tedesco: Esperanto aus der Sicht eines Schriftstellers (Vienna: Pro Esperanto, 1989, Internacia Esperanto-Muzeo, Hofburg, 1010 Wien 1, oppure herbert.mayer@onb.ac.at).


12. Ciò [una fitta stratificazione di moduli espressivi] conferisce alla pagina uno spessore che nessuna traduzione in esperanto (e, se per questo, nessuna creazione originale in esperanto) saprebbe offrirmi.


Mi dispiace di contraddirLa ancora una volta, ma mi baso sulla mia esperienza di ex traduttore, di psicologo e di autore (ho pubblicato in francese come pure in esperanto e non ho mai notato differenze di ricchezza o di espressività tra le due lingue: ciascuna ha certo la sua propria personalità, con le sue lacune e le sue ricchezze specifiche, ma complessivamente, sul piano letterario, si equivalgono. Ho letto numerose traduzioni in italiano, in francese, in inglese, in esperanto. Queste ultime non si distaccano dalle altre per una qualità inferiore, al contrario. Preferisco la traduzione del poema di William Brake Tiger, tiger, burning bright... pubblicata in esperanto (Tigro, tigro, brule brila...) alla traduzione pubblicata in francese (Tigre, tigre, flamboyant d'ardeur...). Preferisco la traduzione dal latino Titus Berenicem invitus invitam dimissit in esperanto Titus malvole malvolan Berenican forsendis alla traduzione francese: Titus, qui ne le voulait pas, renvoya Bérénice, qui ne le désirait pas davantage. O ancora, nella canzone jiddish Rebbe Elimelek, c'è in ogni successivo ritornello l'argomento dei musicisti che vengono a suonare per il signore. L'esperanto rende il testo come poche lingue potrebbero renderlo, con un ritmo ben adattato alla melodia dell'originale: Az di fidldike fidlers hobm fildlik gefidelt diventa Violonaj violonistoj violone violonis... e poi si ha La tamburaj tamburistoj tamburade tamburadis..., La cimbalaj cimbalistoj cimbaliste cimbaladis... (1). Queste traduzioni rendono l'originale con una fedeltà che le risorse del francese non possono offrire. Temo che la Sua posizione su questo punto sia puramente a priori.


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Ecco, caro professore, quello che volevo dirLe. Spero che vorrà perdonare la lunghezza veramente eccessiva di questa lettera. Sono cosciente che imporLe questo penso oltrepassa i limiti della cortesia. La mia scusa è che l'autore di un testo generalmente è interessato alle osservazioni che può fargli un lettore che, dal proprio vissuto, nota immediatamente dei fatti che l'autore non avrebbe potuto conoscere. E poi, che vuole? Il tema mi appassiona! Se ha tempo, forse mi farà l'amabilità di leggere un articolo che, pur partendo da considerazioni molto più terra-terra, tratta sommariamente lo stesso tema del Suo scritto: "quale lingua per la comunicazione internazionale, in particolare nell'Europa in costruzione?" Questo testo, intitolato «Linguistic Communication - A Comparative Field Study» (2). Ma capisco benissimo che Lei possa avere qualcosa di meglio da fare, o che tutto questo non La interessi realmente. Non Glie ne vorrò affatto, se Lei riterrà questa lettera troppo lunga e rinunzierà a leggerla prima di arrivare fin qui.


Voglia credere, Stimatissimo Signor Professore, ai miei migliori sentimenti,
Claude Piron


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1. La possibilità di combinare i monemi senza limitazioni è un grande vantaggio per l'espressività. Avendo bisogno di quattro sillabe per rispettare il ritmo, il traduttore avrebbe potuto mettere cimbalade, sul modello di tamburade, la sfumatura di senso essendo trascurabile in questo contesto. È chiaro che ha scelto -rad- per il tamburo (avrebbe potuto mettere tamburiste) e -list- per i cembali per evocare meglio le sonorità dei due rispettivi strumenti.
2. La versione francese è apparsa in Language Problems & Language Planning (ISSN 0272-2690), vol. 26, n° 1, primavera 2002, pp. 24-50.


Traduzione dal francese - Le parti che nell'originale sono in italiano sono state scritte in corsivo.
26 luglio 2003